
Abbuffata Milanese.
Visita alla Fondazione Prada con Giulietta e Mariachiara, giusto in tempo per vedere la mostra Serial Classic di Salvatore Settis prima che sbaracchi. Allestimento limpido e pulito come la tesi dell’esposizione, esposto per punti nel pannello iniziale quasi fosse una dimostrazione matematica. Parafrasando Benjamin, per Settis l’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera inizia già in piena era classica. Anzi, in realtà conosciamo l’aspetto di alcuni originali greci (tra tutti il celeberrimo Discobolo di Mirone) solo dalle loro repliche romane o tramite descrizioni. Talmente chiaro e diretto da non lasciare diritto di…replica.
Della Fondazione colpisce innanzitutto la vastità (19.000 mq!) e la varietà degli spazi recuperati dall’ex distilleria e creati ex novo, che si amalgamano perfettamente in una specie di città ideale dell’arte contemporanea. Nella Cisterna regna la rarefazione: una sola opera per ognuna delle tre enormi stanze. Dopo aver realizzato a fatica che il Metro cubo di terra appeso alla parete a destra della prima stanza è, appunto, un’opera d’arte del concettuale Pino Pascali, di fronte all’enigmatica Lost Love di Damien Hirst esplode un sentimento poetico. L’abbondanza di spazi è tale da permettersi di sprecare la bella Casa d’Oro affidandola alle indecifrabili installazioni di Robert Gober e Louise Bourgeois.
Nell’ala Sud curata da Germano Celant, invece, prevale l’accumulo: un commovente studiolo del ‘400 con inserti contemporanei precede un eclettico collage di opere del ‘900, quasi una moderna trasposizione delle galeries settecentesche.
Sbalordisce anche il personale: numeroso, giovane ed evidentemente orgoglioso di essere lì. Se superi l’iniziale timore provocato dall’uniforme in stile vagamente militare e ti avvicini per chiedere informazioni sulle opere (il che è praticamente inevitabile, dal momento che non ci sono pannelli né audio-guide), scopri anche che sono preparatissimi e stranamente felici di aiutarti. Chapeau.
La logica dell’accumulo di Celant si esprime senza limiti nella mostra Arts and Foods alla Triennale, il padiglione artistico dell’Expo. Una carrellata enciclopedica (in pieno stile Esposizione Universale) sul rapporto tra arte e cibo dal 1851 ad oggi, di cui però non mi sono molto chiari il senso del percorso né i criteri di scelta delle opere. Forse con l’audioguida o l’App sarebbe cambiato tutto, ma allora bisognerebbe programmare di spenderci mezza giornata.
Nella retata (o abbuffata?) di opere di ogni tipo e provenienza finiscono impigliati alcuni piccoli capolavori, tra cui Woman with shopping di Ron Mueck. Lo sguardo della donna è perso nel vuoto, ma se la fissi per un po’ hai l’impressione che ricambi. Fosse alla Fondazione Prada, si sarebbe meritata una stanza intera.